Frutteto Storico Condiviso Andezeno
Il Frutteto Storico Condiviso, promosso dalla Fondazione della Comunità Chierese, è costituito da alberi da frutto che sono gemelli genetici dei patriarchi più longevi, piante monumentali che rappresentano un patrimonio di biodiversità e che costituiscono un pilastro per la costruzione di un futuro modello di agricoltura a basso impatto.
Le piante da frutto messe a dimora, da 60 – 80 cm, sono i gemelli genetici dei patriarchi più significativi dell’Italia settentrionale; la longevità di questi esemplari è prova di grande resistenza alle avversità climatiche e parassitarie, il che fa di queste piante una banca genetica di grande interesse per la tutela della biodiversità.
Il frutteto si pone anche come laboratorio di educazione alla sostenibilità, all’uso consapevole delle risorse naturali, con una conseguente significativa ricaduta sociale.
Il progetto è stato attivato attraverso una rete di risorse locali e nazionali e vede la collaborazione dell’Associazione Patriarchi della Natura in Italia, dell’Associazione CiòCheVale, dell’Associazione Area Bene Comune, dell’Associazione Piantiamola!, ed è inoltre sponsorizzato dall’azienda BigMat De Tommasi Bruno & C di Chieri.
Così ne parla Sergio Guidi, agronomo di Forlì, Presidente dell’Associazione Patriarchi della Natura, che gestisce la rete nazionale dei giardini e frutteti storici e che ha fornito gli esemplari.
“Le piante del passato sono le radici per il nostro futuro. Infatti, per costruire un futuro sostenibile nell’epoca del cambiamento climatico abbiamo bisogno di memorie viventi che abbiano già dato prova di resilienza, di sostentamento per le popolazioni, qualità ambientale e bellezza paesaggistica. Con questo progetto intendiamo sperimentare nuove modalità di interazione e di messa a sistema delle risorse economiche, sociali, culturali e ambientali sul territorio Chierese. Sono gli stessi abitanti ad essere, nello stesso tempo, beneficiari del rafforzamento identitario e promotori della salvaguardia del paesaggio attraverso il loro coinvolgimento nella difesa degli ambienti antropizzati e naturali.”
A parte un altro esempio di frutteto presente a Bardonecchia, dove Luca Mercalli sta portando avanti uno studio sui cambiamenti climatici con alcune piante messe a dimora in due luoghi diversi, a 1000 m e a1600 m, questo frutteto è unico nel contesto della pianura piemontese e per primo in Piemonte farà parte della rete dei giardini d’Italia. Il Piemonte era una regione “scoperta” rispetto a questa iniziativa, pur essendo una regione ricca di biodiversità e di fruttiferi, alcuni unici a livello nazionale.
Oltre agli alberi da frutto, nel giardino è presente un olmo bianco, unico esemplare non fruttifero inserito per la sua importanza, gemello di quello capitozzato che si trova a Bergemolo e che domina la valle Stura di Demonte.
Consideriamo bene augurante iniziare la visita del frutteto dal melograno, pianta simbolo di fertilità, che anche i romani usavano in tutti i giardini.
Questo giardino è quindi una banca genetica, un luogo di conservazione dei gemelli di piante madri secolari (300 – 500 anni e oltre); gli obiettivi del progetto sono descritti da un grande pannello all’ingresso e sono, in primis, la conservazione del DNA di queste piante e l’aspetto divulgativo per la tutela del valore di queste specie, poiché in tal senso la conoscenza e la memoria sono fondamentali.
Queste piante possono essere studiate per capire i cambiamenti climatici: la cosiddetta fenologia, la formazione e l’apertura della gemma, dei fiori e delle foglie, è infatti strettamente legata al clima.
Con autunni così caldi, durante i quali le api continuano a bottinare, le piante reagiscono con comportamenti mutati, che possono portare a gemmazione precoce e a possibili danni dovuti all’insorgere di freddo improvviso e possibili gelate. Lo studio condotto a Bardonecchia a due diverse altitudini sta fornendo indicazioni molto interessanti sulla fenologia in relazione al clima. Il frutteto conta una ventina di piante: peri, meli, alcuni molto pregiati a livello nazionale, susini, albicocchi; sono piante piccole, pertanto sono descritte dai pannelli dedicati, anche in termini di sviluppo futuro atteso.
La scelta di piantare frutti antichi, non è solo finalizzata alla conoscenza e alla conservazione della memoria: è importante recuperare queste piante perché sono piante che producono frutti in abbondanza, frutti buoni, che si devono poter conservare a lungo, in cantina o nei fruttai, per il periodo invernale. Inoltre, si tratta di piante molto resistenti alle malattie, perché un tempo non c’erano a disposizione molti mezzi e sostanze per combatterle, a parte zolfo e rame; in questo senso, sono piante utili per l’agricoltura del futuro, una pratica agricola a basso impatto, che richieda poca acqua, poche risorse e che possa fare a meno della chimica. Se queste piante non fossero state straordinariamente robuste, la siccità estiva le avrebbe uccise; ora hanno radici di circa 30 cm ma, con il tempo, saranno in grado di cercare acqua fino a 3 – 4 m di profondità, perché non solo piove meno, ma la falda freatica è sempre più profonda e le piante devono cercare acqua sempre più in profondità. Quindi si tratta di piante di grande valore, anche perché, particolare non di poco conto, producono frutti che si possono mangiare con la buccia, che ha alto valore nutritivo e anche nutraceutico, ovvero è cibo curativo.
Altro esemplare importante è un melo proveniente dal biellese, Melo Giansan ovvero melo genziana, che presenta un retrogusto amarognolo e che ha proprietà digestive. Si tratta di una mela grande, gialla, succosa e acidula, con polpa croccante, una pianta molto rustica che ha vegetato bene. Le varietà presenti non sono tutte piemontesi, ma tutte autoctone del centro nord Italia, e i meli sono distribuiti a settori: troviamo la mela Rosa di Fondo, paese della Val di Non (la patria della Melinda) una specie di cui si potrebbe parlare per ore: la pianta madre, un melo di 230 anni, forse il più grande e antico d’Europa, paragonabile a un essere umano di circa 120 anni, è morta ma, come descritto nel box, la specie è stata salvata, grazie alla messa a dimora della pianta gemella: la pianta madre, infatti, è stata riprodotta in due esemplari, uno presente qui e uno a Roma.
Si trova poi ad una piante proveniente dall’alto Piemonte, la Mela gran Alessander in onore dello zar Alessandro, albero di dimensioni paragonabili a quelle di una quercia. È un melo presente anche nel meleto di Tolstoj, a 200 km da Mosca, che ospita alcune varietà italiane; una varietà di mela molto rustica, che matura tardi, tra novembre e dicembre, e si conserva fino a primavera senza sfarinare. Inoltre è un albero molto rustico, super adattato al territorio, che non richiede trattamenti. In pratica con le diverse varietà è possibile avere frutti freschi tutto l’anno, conservati in cantina.
Chiudiamo il giro del frutteto con la mela Piatlin, gemello di un vecchio melo del biellese, che dà una mela rugginosa, piccola e schiacciata, che ha il suo gusto particolare nella buccia.
Si tratta di una varietà molto resistente, storica del territorio; una pianta che rispetta l’ambiente, che non ha bisogno di veleni e questo consente quindi di consumarla con la buccia.
Il Terzo Paradiso e’ un segno/simbolo ideato da Michelangelo Pistoletto che inscrive nel simbolo dell’infinito un cerchio, evocativo a sua volta dei cicli della rigenerazione della materia e della circolarita’ del tempo. Il Terzo Paradiso e’ la fusione fra il primo e il secondo paradiso. Il primo e’ quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo e’ il paradiso artificiale, sviluppato dall’intelligenza umana, fino alle dimensioni globali raggiunte oggi con la scienza e la tecnologia. Questo paradiso e’ fatto di bisogni artificiali, di prodotti artificiali, di comodita’ artificiali, di piaceri artificiali e di ogni altro genere di artificio. Si e’ formato un vero e proprio mondo artificiale che, con progressione esponenziale, ingenera, parallelamente agli effetti benefici, processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale. Il Terzo Paradiso e’ la terza fase dell’umanita’, che si realizza nella connessione equilibrata tra l’artificio e la natura. Terzo Paradiso significa il passaggio a uno stadio inedito della civilta’ planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. A tale fine occorre innanzi tutto ri-formare i principi e i comportamenti etici che guidano la vita comune. Il Terzo Paradiso e’ il grande mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilita’nella visione globale. Il termine paradiso deriva dall’antica lingua persiana e significa “giardino protetto”. Noi siamo i giardinieri che devono proteggere questo pianeta e curare la societa’ umana che lo abita. Questo non puo’ che realizzarsi attraverso un passaggio evolutivo nel quale l’intelligenza umana trova i modi per convivere con l’intelligenza della natura. Il Terzo Paradiso e’ il nuovo mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilita’ in questo passaggio epocale (..)
Michelangelo Pistoletto
Una passeggiata tra piante straordinarie, che ci insegnano come la natura metta in campo risorse sorprendenti per far fronte anche a situazioni estreme e sfidanti, e nello stesso tempo una lezione sull’importanza della memoria e della conoscenza, che ci dice come gli alberi secolari possano essere, sorprendentemente, un ponte verso il futuro.